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Cenni Critici su Alessandro Valeri

“Alla fine degli anni 1980, sono rimasto affascinato dalla metropoli di New York, da Chinatown, Little Italy e Harlem,” racconta Alessandro Valeri. “La città mi sembrava un mix di arte Vittoriana, Art Deco e urbanizzazione del dopoguerra. Una composizione urbana assolutamente folle, a metà strada tra ricchezza e povertà, con la bellezza dei grattacieli in netto contrasto con la fati- scenza dei decrepiti edifici in stato di abbandono. Sono rimasto affascinato dal fervore intellettuale dell’East Village e da icone americane quali Bukowski, ma soprattutto da tutte quelle persone che vivevano ai confini della realtà che per certi versi somigliavano alle enormi e semi distrutte automobili degli anni 70, ammaccate carcasse che consumavano come spugne e che ancora pattuglia- vano le strade.”

“Al contempo però, sono anche rimasto colpito dalla capacità di Andy Warhol di comunicare le sue idee sul marketing di massa. La sua morte nel 1987 mi ha letteralmente scioccato ed è stato allora che ho comin- ciato a lavorare su una serie di sguardi alternativi su New York, con l’intento di mostrare l’altra faccia della città, compresi i tanti luoghi frequentati da Warhol.”

Da allora Valeri ha puntato il suo obiettivo su Alphabet City e il Meat Market, zone di New York all’epoca molto pericolose e malfamate al punto che alcune delle sue fotografie sono state scattate dal finestrino semiaperto di un’auto. Così facendo, Valeri è riuscito a catturare la natura surreale del Surf Bar, un locale della zona con il pavimento cosparso di sabbia e le tavole da surf attaccate alle pareti. Ha fotografato le insegne dei negozi, le finestre coperte da tavole di legno, i parcheggi vuoti, i negozi di liquori super forniti, i venditori ambulanti e i bambini che giocano per la strada. Queste immagini della storia sociale e architet- tonica del XX secolo, tra cui ricordiamo quella della vecchia sede della Pan Am e quella della fabbrica della Colgate ormai demolita, sono emblematiche tanto quanto quelle che ritraggono il traffico caotico nella panoramica di Valeri verso l’Hudosn, con Little Italy a sinistra e Chinatown a destra.

Tuttavia, l’opera di Valeri si allontana dai principi del foto-giornalismo e del re- portage d’archivio perché essendo meno interessato al concetto di rappresen- tazione, si concentra soprattutto sull’uso del mezzo fotografico come veicolo per trasmettere emozioni, guardando più allo stato d’animo che al soggetto delle sue fotografie. I paesaggi urbani della sua New York non riguardano solo ed esclusivamente la città ma vogliono trasmettere la sensazione della trasfor- mazione, mantenendo l’equilibrio tra sporcizia e perfezione.

Tutto ciò è visibile anche nella serie di fotografie che Valeri ha realizzato alla fine del millennio durante la tournée romana del Circo Togni nel dicembre del 1999. Vivendo con la compagnia del circo per circa un mese, Valeri è entrato praticamente a far parte della famiglia e le fotografie che ha scattato rivelano una profonda intimità, fiducia e suspense. I volti dei trapezisti, degli acrobati, dei clown e del domatore sono espressivi e complici. Nulla è lasciato al caso.

“Nel backstage, sono tutti vulnerabili. Il luogo è pericoloso, con gli animali che vagavano a loro piacimento, compresi un ippopotamo, un elefante e un bisonte. Entra in scena il pagliaccio e esce il rinoceronte. La tensione era una costante.” Valeri si è posto al confine tra due mondi mettendosi direttamente dietro quella tenda che separa il backsta- ge dalla pista del circo dove si esibiscono gli artisti. Ed è lì, su questa sorta di cancello nel quale si passa dalla dimensione più privata del backstage a quella pubblica che ha scattato le sue foto.

“Non era tanto lo spettacolo in sé ad affascinarmi quando l’atmosfera, lo stato d’animo dei momenti che precedono lo spettacolo, e quella loro vita nomade.” Valeri è rimasto colpito soprattutto dalle possenti motivazioni umane che sono alla base di quei numeri di forza e abilità che ha visto e vissuto nel backstage e dal fortissimo legame che unisce gli artisti circensi pro- venienti da tanti paesi diversi. E come nella serie di fotografie su New York, anche questi scatti catturano un mondo che sta scomparendo. Molti dei numeri acrobatici che vediamo nell’opera di Valeri oggi sono vietati dalla legge poiché considerati troppo pericolosi così come molti degli animali selvaggi ritratti non possono più essere utilizzati negli spettacoli circensi.

Quella di Valeri è una fotografia che sovverte continuamente le regole. Nel corso degli anni, Valeri ha cre- ato dei potenti ritratti di modelli, attori, stilisti, musicisti e atleti, persone che generalmente sono a proprio agio nel loro corpo, esagerando a volte – scientemente - l’erotismo del simbolismo. In Le Ali ha raffigurato la top model inglese Naomi Campbell nei panni dell’angelo vendicatore. Inginocchiata e nuda, rivolge lo sguardo indietro verso chi la guarda con sfida. Le ali sovradimensionate dell’Annunciazione sono annerite e minacciose. Di segno diametralmente opposto, La Rosa è una rappresentazione esageratamente roman- tica di Valentino Rossi, campione mondiale di motociclismo. La rosa rossa che tiene tra i denti fa il verso alla sensualità delle sue labbra. Personaggi pubblici come i due precedenti sono stati fotografati migliaia di volte ma Valeri proietta sui suoi modelli uno sguardo differente. Qui si combatte una sotterranea e sottile battaglia tra l’icona pubblica e l’iconografia.

Molte delle silver gelatin prints di Valeri sono ingrandite a dismisura. Nei suoi più recenti scatti in bianco e nero, il corpo umano diventa un paesaggio con picchi e valli nascoste. I nudi adagiati diventano composizioni nelle quali ombre profonde contaminano la luce. Le curve femminili sono evidenziate da pennel- late gestuali color avorio, con una consistenza simile a quella dello zabaione. Alcuni segni graffiano la superficie delle stampe simili ai graffi provocati dagli artigli di una pantera. Rembrandt’s Reverse è un’immagine totemica di Valeri che raffigura la testa di un uomo mostrata in maniera simmetrica e a faccia in su evocando il minimalismo di un teschio. Attraverso l’uso della luce che esa- spera le ossa e il nero dei lineamenti, le cavità oculari e la bocca diventano dei vuoti. Questa immagine è ingrandita esageratamente e la sua dimensione è let- teralmente esplosiva ma non è semplicemente il ritratto di un uomo.

“Mette in luce le ombre della comunicazione,” spiega Alessandro Valeri. “In questa immagine, vediamo solo l’oscurità degli occhi, del naso e della bocca e quindi si può definire un ritratto che raffigura la vista, il respiro e la parola.”

(Jonatan Turner)

 Realtà e metafora delle città, narrazione e istante di corpi che appaiono e scompaiono come dentro una voluta di fumo, volti ridefiniti attraverso una segnaletica tribale, le foto in bianco e nero di Alessandro Valeri creano un linguaggio che si discosta sia da quello fotografico che da quello pittorico contraddicendo anche il concetto stesso di rappresentazione e di narrazione.

Nel suo caso linguaggio e metodo si uniscono per mettere in scena parte di un processo che potrebbe continuare all’infinito in ogni sua singola opera. I suoi soggetti sembrano diventare un pretesto e un modello implicito. I quartie- ri anni ’80 della New York di Andy Warhol, così come i corpi di donne e di uomi- ni, diventano allo stesso tempo non-luoghi, scenari di spaesamento, panorami comuni e propri di un genere umano abituato a percorre il pianeta sia in senso fisico che virtuale.

 Le sue foto, come i segni pittorici che ne ridefiniscono alcuni tratti, nascono dall’acquisizione di una grande tecnica che però viene puntualmente smentita e decostruita, una tecnica che svela ironicamente i suoi se- greti e permette alle immagini di disfarsi e di ricomporsi, di perdere centralità, di appiattirsi oppure di esplo- dere. Credo che questi siano i motivi principali che rendono le sue opere così affascinanti e vicine alla nostra dimensione quotidiana, sfuggente eppure intensa, indefinita e pungente, oscillante tra un piccolo partico- lare e un infinito. Alessandro Valeri tende ad evocare una dimensione poetica più drammatica – nel senso dell’azione - che lirica, più filmica che statica, come ci si aspetterebbe da opere comunque bidimensionali. E infatti l’occhio dell’osservatore scorre irretito dalla circolarità della spirale, quando si tratta di corpi, e dalla linearità delle strade o dalla verticalità degli edifici, quando si tratta di contesti urbani. In assenza di qualsiasi intervento digitale, l’estrema qualità della stampa, fa emergere innumerevoli sfumature, gamme di neri, bianchi e grigi. Essi attribuiscono morbidezza, tattilità, tridimensionalità ed evanescenze ad ogni singolo particolare dei corpi, mentre conferiscono matericità ben distinte alle strade asfaltate, ai mattoni dei muri, alle carrozzerie delle automobili, alle atmosfere nebbiose e cariche di smog.

Il contrasto tra luci e ombre viene per lo più omologato agli sfondi e ai primi piani e, in questo caso, è molto importante rilevare il fatto che è l’artista a decidere ciò che di un volto o di un corpo appartiene allo sfondo, facendolo ingoiare dal buio, e ciò che appartiene al primo piano, facendo in modo che la luce ridefini- sca contorni e forme differenti dalla realtà oggettiva ed emergenti dal gorgo dell’oscurità.

Attraverso la metafora di questi interventi, l’autore dichiara che ogni persona, ogni essere e ogni cosa con- cede solo una parte di sé alla propria individualità, lasciando tutto il resto fluttuante, indiviso e partecipe di una dimensione comune a tutti e a tutto. Differente il discorso riguardante i volti e, precisamente, i ritratti in primo piano. In questo caso Alessandro Valeri riesce ad evocare il contesto a cui appartiene la persona ritratta attraverso gli occhi e l’espressione, come lo sguardo intenso di un acrobata che sembra ipnotizzare un pubblico eterogeneo e chiassoso.

Le dimensioni di decontestualizzazione e reinterpretazione teatrale apparten- gono ai grandi ritratti di star come Valentino Rossi e Naomi Campbell, perso- naggi vivi nell’immaginario collettivo, ma che l’artista trasforma in simboli resi- duali di un mondo in trasformazione.

In questa sua mostra personale al PAN di Napoli tutto questo si amalgama. Alessandro Valeri, con tocco da sciamano, evoca i suoni e i movimenti di una grande rappresentazione, dove le opere interagiscono stravolgendo i rapporti di spazio e di tempo.

(Francesca Pietracci)