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Cenni Critici su Andrea Terenziani

Dolce e chiara è la notte senza vento, e quieta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna. [...]
Giacomo Leopardi versi da La sera del dì di festa
 
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. [...]
Giacomo Leopardi versi da Canto notturno di un pasore errante dell'Asia, I Canti, XIII

La luna, nei versi dei poeti come nelle opere d’arte, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di leggerezza, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. Una luna nera veglia sui paesaggi di Andrea Terenziani creando le medesime emozioni ed investendoli, quasi a specchio, di un’atmosfera e di una luce lunare, leggera e magica. Artista parmigiano, Terenziani è un abile conoscitore della materia, in particolare delle resine, ma anche polveri, colori, stucco o gesso, con cui plasma e crea le sue opere.

L’uso prevalente dei colori della terra crea un contrasto con gli skyline urbani, che possono indistintamente mostrare cattedrali o torri, fari, fabbriche o grattacieli: tali orizzonti sono dunque lontani dall’essere spiccatamente figurativi, vengono ogni volta evocati, fanno quasi da sfondo ad un sogno, in cui le forme possono essere sovrapposte o solo sfumate.

Le città di Terenziani sono universali, fuori dal tempo e dallo spazio, potrebbero trovarsi ovunque sulla terra, creano l’immagine della metropoli senza indicarne nemmeno una: lo spettatore può così incontrare ogni volta un luogo diverso, un diverso ricordo o un’atmosfera nuova. Ci troviamo di fronte al racconto di un viaggio, come quello compiuto da Marco Polo ne Le città invisibili di Calvino, dove le 55 città con il nome di donna vengono descritte in modo fantasioso ed irreale, piene di dettagli inconsueti e visibili solo agli occhi di chi sa andare oltre la razionalità ed il reale: analogamente i mondi di Terenziani sono luoghi della mente che nascono però da elementi reali, quali viaggi, sensazioni, idee o persone che vengono scomposti dall’artista e ricostruiti nelle sue opere.

Argan scrive: “Tutti portiamo in noi senza rendercene conto, il senso dello spazio della città in cui viviamo: le sue ampiezze, le sue distanze, i suoi percorsi, la sua aria, la sua luce, il suo colore, le cose di cui è piena. E' un'immagine indefnita, incolore, frammentaria: quante volte un aspetto della nostra città, che abbiamo veduto infnite volte, ci appare come se lo vedessimo per la prima volta? Poco importa che questo improvviso animarsi della nostra stinta nozione dipenda da un effetto di luce o da una nostra speciale disposizione d'animo: sta di fatto che la sensazione visiva va a colpire quell'oscuro tracciato, e quella che potremmo chiamare la nostra "città inconscia" diventa qualcosa di straordinariamente vivo".

Terenziani attraverso le sue opere vuole liberare le nostre città inconsce, straordinariamente vive.

(Alice Pezzali)

 L’opera di Terenziani tra essenza ed esistenza

 I quadri di Andrea Terenziani sembrano giungere da un passato lontano. E sono qui presenti, davanti ai nostri occhi, a garantire una tradizione, un’origine con- divisibile. Si può dire che essi si rivolgono a noi con un’ombra di malinconia, ma siamo ancora lontani dalle ragioni del lavoro di questo artista.

Per comprendere meglio il suo percorso dobbiamo rivolgerci allo stesso corpo della pittura. Esso giace nascosto nelle contraddizioni della modernità, fra ter- ritori ancora inesplorati, tra realismo e astrazione, tra forma e informe, tra na- tura e cultura. Ma a quale pittura ci riferiamo? I dipinti di Terenziani appaiono intrisi di memorie, di evocazioni e sedimenti, di ricordi o tracce di viaggi: come paesaggi che si rivelano a noi oltre misteriose lande desolate o sublunari ap- parizioni, verso città sepolte; ma sarebbe riduttivo parlarne in questo modo. Occorre dunque riprendere il discorso su quella pittura che dagli anni cinquanta agli anni sessanta si fece espressione delle cosiddette poetiche dell’esistenza descritte da un pensatore e studioso di estetica come Maurice Merleau-Ponty. Si tratta appunto di poetiche poiché non sono solo tecniche che si mostrano in una forma, ma aprono a una visione del mondo. Visione attraversata da un oriz- zonte, da una linea che non ha la funzione di separare, bensì di congiungere il qui con qualcosa che sta al di là, che è oltre. Non c’è più un fondo, ma una de- marcazione che apre invece di chiudere, apre cioè all’invisibile. La linea stabili- sce il sotto e il sopra, il cielo e la terra, ciò che è vero e ciò che è falso. Quasi una linea metafisica che solca il nostro quotidiano. Non più mescolamento ma distinzione, orizzonte di attesa e orizzonte d’essere, riconoscimento e alterità. È questo l’orizzonte da cui si manifestano tutte le cose del mondo e verso cui sembra procedere la pittura di Terenziani.

Come non pensare all’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre? È l’esistenza nella sua contingenza il soggetto della rappresentazione pittorica. Possiamo dunque affermare che gran parte delle esperienze pittoriche che si esprimono come poetiche dell’informe hanno un debito di riconoscenza con l’esistenzialismo di Sartre. Il libro La nausea, pubblicato nel 1938, è quasi un manifesto dell’esi- stenzialismo. Tutto in esso è gratuito, il giardino, la città, le macchine, i sen- tieri, il bosco, le cose che ci circondano e la materia di cui siamo fatti. Tutto fluttua, ma al contempo tutto si affaccia all’orizzonte del mondo. Ecco dove

possiamo situare la linea che appare nei quadri di Terenziani. Dobbiamo anche dire che quella linea si disfà con l’orizzonte. Nelle poetiche che vanno sotto il nome di esistenzialismo, appunto, la materia si fa sempre più importante nella dimensione del rapporto con la memoria. Si parte dall’osservazione secondo cui la vita interiore non sarebbe pensabile se l’esperienza cosciente non fosse anche il tempo del nostro presente in quanto attenzione, il nostro passato come ricordo e il nostro futuro in quanto presenza- attesa come aveva ben visto Agostino nelle Confessioni. L’anima si distende e si estende nel tempo, dunque i tempi dell’anima non possono essere tre, bensì uno, e cioè il presente dell’anima a se stessa.

È in questo senso che la pittura si fa memoria e coscienza. Il tempo vissuto della coscienza diventa reale proprio perché la coscienza è nel tempo e la me- moria è capace di riportare il passato nel presente. In questa direzione si in- crocia la pittura di Nicolas de Staël, pittore della forma e dell’antiforma, del colore e della materia, suicida a quarantuno anni. Altri pittori della materia pit- torica sono Fautrier, Dubuffet, Tàpies, il primo Burri. In tutti loro l’impasto cro- matico appare coscienza del sé che si afferma sulla superficie della tela come memoria e spazio dell’attesa. E non possiamo dimenticare l’importanza che assume il tempo in Bergson. Nel libro Materia e memoria il tempo non è più una serie di momenti concatenati e misurabili, ma un continuo fluire di istanti vissuti nella loro durata reale entro la coscienza di ognuno di noi.

Nella pittura di Terenziani registriamo una lotta tra lo spazio e la materia, il tempo e la durata. Avvertiamo lo sforzo costante di liberare l’impasto della ma- teria dalla sua rigidità per farsi lenta memoria. Il pittore vuole attraversare la linea di orizzonte che sta dietro le forme elementari delle sue città. In realtà i suoi paesaggi sono tagliati da un’interferenza orizzontale o verticale che li fa emergere dal fondo della tela. Non c’è un primo piano o uno sfondo, ma linee fatte della materia del colore o di materiali eterogenei che Terenziani applica sulla tela con precisione, per indicare un’ulteriore profondità, come i pezzi di garza che si mischiano con il colore. Questi materiali vanno al di là della mate- ria pittorica, ancora una volta un confine.

Tutto questo è nei quadri di Terenziani, tra essenza ed esistenza.

(Vittorio Sgarbi)